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Il caso esaminato dalla Suprema Corte presenta una questione di significativo interesse, connessa al tema del c.d. "giudicato esterno". Nella fattispecie la lavoratrice, difesa da Legalilavoro Napoli, aveva già ottenuto una decisione favorevole (passata in giudicato) che aveva accertato il demansionamento patito ed il diritto al ristoro del danno professionale. Tuttavia l’azienda aveva mantenuto la condotta censurata, ed era stata pertanto condannata a risarcire l’ulteriore danno professionale arrecato al lavoratore nel periodo successivo alla prima pronuncia.
La Corte di appello di Napoli aveva applicato il principio, originariamente enunciato dalla sezione tributaria della Cassazione con sentenza n. 24433 del 30 ottobre 2013 e poi confermato anche dall'ordinanza della Cassazione qui in esame, secondo cui «in tema di giudicato esterno, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico o titolo negoziale, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, tale accertamento in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto o di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, ne preclude il riesame, anche se il successivo giudizio abbia finalità̀ diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il "petitum" del primo».
Nella decisione del 2013 la Suprema Corte aveva proseguito precisando che «nel caso in cui il giudicato esterno si sia formato a seguito di una sentenza della Corte di cassazione, i poteri cognitivi del giudice di legittimità possono pervenire alla cognizione della precedente pronuncia anche mediante quell'attività di istituto (relazioni preliminari ai ricorsi e massime ufficiali) che costituisce corredo della ricerca del collegio giudicante, in tal caso deponendo non solo il principio generale che impone di prevenire il contrasto tra giudicati ed il divieto del ne bis in idem, ma anche il rilievo secondo cui la conoscenza dei propri precedenti costituisce un dovere istituzionale della Corte, nell'adempimento della funzione nomofilattico di cui all'art. 65 dell'ordinamento giudiziario».
Con riferimento al danno ed alla sua prova, la recente ordinanza della Suprema Corte ha poi confermato la motivazione della Corte partenopea che aveva riscontrato la non corrispondenza delle mansioni rispetto al livello d'inquadramento della lavoratrice (il 6° del CCNL del settore telecomunicazioni) e individuato il danno sulla base della durata della condotta, del fatto che l’azienda abbia perseverato nella sua illecita condotta, del dislivello delle mansioni rispetto all’inquadramento della lavoratrice.
(Cassazione 23 marzo 2020 n. 7483)
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