Aggiornamenti
Lavoratore disabile e maggior rischio di accumulare assenze rispetto ai colleghi
La giurisprudenza si è recentemente occupata, in più occasioni, del tema del licenziamento per superamento del periodo di conservazione le posto di lavoro in favore di un dipendente assente per malattia (cosiddetto periodo di comporto). Il datore di lavoro può recedere dal contratto soltanto dopo che tale termine viene superato. Di norma è il contratto collettivo che determina il comporto. La questione giuridica riguarda, in particolare, la computabilità o meno ai fini del comporto delle assenze del lavoratore disabile accumulate a causa di malattie collegate alla sua disabilità.
La normativa italiana vieta ogni atto discriminatorio nei confronti del lavoratore, compresa la discriminazione per disabilità (art. 15 Statuto dei lavoratori); così come vieta qualsiasi forma di discriminazione diretta o indiretta fondata, tra gli altri, sulla disabilità (art. 2, d.lgs. 216/2003). In aggiunta, è previsto per i datori di lavoro di adottare accomodamenti ragionevoli in favore dei lavoratori con disabilità (art. 3, comma 3-bis, d.lgs. 216/2003).
La giurisprudenza, recependo la nozione europea, ai fini del diritto antidiscriminatorio definisce la condizione di disabilità come una limitazione risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, la quale, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori.
In tema di computo delle assenze ai fini del comporto la Cassazione ha ritenuto che il datore di lavoro, una volta che conosca (o sia messo nelle condizioni di conoscere con l’ordinaria diligenza) la condizione di disabilità del dipendente, è tenuto ad attivarsi per comprendere se le assenze siano riconducibili alla condizione di disabilità e a valutare ogni accomodamento possibile. Nel caso in cui non lo faccia, il licenziamento per superamento del comporto può essere dichiarato discriminatorio (Cass. 9095/2023). Più recentemente, la stessa Cassazione ha statuito che l’imprenditore deve dimostrare di aver compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per evitare il recesso, ricercando soluzioni organizzative compatibili con la disabilità del lavoratore (Cass. 14316/2024). Ciò si traduce, alla luce della prevalente giurisprudenza, nel ritenere che le assenze causate da patologie legate alla disabilità non possano essere conteggiate ai fini del superamento del comporto. Si segnala che anche alcuni contratti collettivi prevedono espressamente la non computabilità di talune assenze, legate solitamente a malattie croniche o ingravescenti.
Per la giurisprudenza vivente, l’adozione di un periodo di comporto indistinto per lavoratori disabili e non disabili, in mancanza di ragionevoli accomodamenti, costituisce una discriminazione indiretta.
In conclusione, il licenziamento di un lavoratore disabile per assenze legate alla sua peculiare condizione è illegittimo se il datore non adotta accomodamenti ragionevoli, non si attiva con diligenza, non dimostra di aver valutato soluzioni alternative. È illegittima, in questi casi, l’applicazione di un termine di comporto indiscriminato.
Si segnala come la Cassazione, nei suoi ultimi arresti, sottolinei anche la necessità di un atteggiamento collaborativo e non ostruzionistico del lavoratore (da ultimo, Cass. 170/2025).
Parole chiave: diritto UE , disabilità , Discriminazione , Lavoro e salute , Licenziamenti