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Nell’ambito di un contenzioso avente a oggetto plurimi licenziamenti scaturenti da identica procedura collettiva un’unica lavoratrice si era vista di fatto esclusa dalla reintegrazione nel proprio posto di lavoro: perché?
Assunta a tempo determinato, aveva visto stabilizzato il rapporto di lavoro in data successiva all’entrata in vigore del Jobs Act; il contratto era stato, infatti, trasformato a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015.
A seguito di ricorso presentato con l’intervento adesivo di Filcams Cgil e Cgil, il Giudice, con ampia motivazione che prende avvio dalla sentenza 194 del 2018 della Corte Costituzionale, valorizza i numerosi profili di contrasto della fattispecie con il diritto dell’Unione Europea, sia sotto il profilo della adeguatezza e dell’effettività della tutela avverso il danno subito dalla perdita del posto di lavoro, sia di ragionevolezza della coesistenza di due regimi sanzionatori.
Per gli assunti dopo il 7 marzo 2015, la norma prevede un regime solamente indennitario in caso di violazione dei criteri di scelta nel corso di un licenziamento collettivo: ad avviso del giudice remittente, ciò si pone in netto contrasto sia con numerosi principi costituzionali (artt. 3, 4, 24, 35 e 111 Cost.) sia con il diritto dell'Unione Europea. L’art. 10 del Jobs Act prevede, infatti, una disciplina nettamente peggiorativa rispetto a quella dell’art. 5, comma 3, legge 223/91 (norma attuativa della direttiva dell’Unione 98/59/CE e che si applica ai lavoratori coinvolti nel licenziamento collettivo assunti prima dell'entrata in vigore del Jobs Act).
Nell’ambito di un’attenta rilettura del diritto dell’Unione Europea (artt. 20, 21 e 30 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione, anche alla luce dell'art. 24 della Carta Sociale Europea), il Giudice milanese chiede, quindi, alla Corte di Giustizia se possa davvero «considerarsi compatibile un contemporaneo doppio regime di tutela avverso licenziamenti che, sia pur basati sugli stessi presupposti perfezionati allo stesso tempo, stabiliscano, per due rapporti di lavoro aventi le stesse caratteristiche, una tutela più forte per alcuni e più debole per altri, ossia reintegratoria per alcuni e meramente indennitaria per altri».
Di particolare rilievo il dedotto contrasto della normativa interna alla Direttiva 99/70/CE, ove prescrive che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, per il solo fatto di avere contratto a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
E, dunque, attraverso il richiamo all’art. 52, comma 5, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione, quale canone di migliore tutela la cui interpretazione spetterà alla Corte di Giustizia, è corretto domandare se una differente tutela, nell’ambito di licenziamenti collettivi illegittimi e caratterizzati da identici presupposti fattuali e giuridici, basata sul solo “fattore tempo” (la data di assunzione), rappresenti una disparità di trattamento per i lavoratori assunti a tempo determinato che hanno visto convertito il rapporto di lavoro successivamente all’entrata in vigore del Jobs Act.
Parole chiave: criteri di scelta , Discriminazione , Licenziamenti , quantificazione indennizzo