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La Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha stabilito che non è compatibile con il diritto UE una normativa interna che escluda in termini generali il diritto del lavoratore ad ottenere, al termine del rapporto, un indennizzo corrispondente alle ferie non godute.
La Corte conferma che il lavoratore deve essere considerato la "parte debole" nel rapporto di lavoro» ed è perciò «necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti». Risulta perciò incompatibile con la normativa europea in tema di ferie annuali «ogni azione o omissione di un datore di lavoro, avente un effetto potenzialmente dissuasivo» sulla fruizione delle stesse. Il datore di lavoro è anzi tenuto ad assicurarsi «che il lavoratore sia effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo, e nel contempo informandolo – in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato». La Corte tiene infine a sottolineare che l'onere della prova di essersi effettivamente ed efficacemente attivato ricade sul medesimo datore di lavoro; la mancata prova in giudizio impedisce l'estinzione del diritto alle ferie che sembrerebbero allora divenire indennizzabili (ove non godute) al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
La decisione della Corte sembra perciò sollecitare il ripensamento dell'orientamento consolidato di quella giurisprudenza che, in alcuni casi, ha negato l'indennizzabilità delle ferie non godute al momento della cessazione del contratto, salvo complessa prova contraria posta in capo del lavoratore delle ragioni per cui non h potuto usufruirne.
La tematica è particolarmente interessante per il settore della dirigenza pubblica nel settore medico, ove il contratto collettivo dispone che «all'atto della cessazione dal rapporto di lavoro, qualora le ferie spettanti a tale data non siano state fruite per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dirigente, l’azienda o ente di appartenenza procede al pagamento sostitutivo» e ove la giurisprudenza ha ritenuto che la prova di non aver goduto delle ferie (per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla propria volontà) spettasse al dipendente (v. ad es. Cass. 4855/2014 e Cass. 20091/2018).
La Corte conclude invitando il giudice nazionale a verificare se il diritto nazionale può essere interpretato, nella materia, in conformità col diritto comunitario e, in caso di impossibilità di un’interpretazione conforme, a disapplicarlo nella parte che vi contrasta. L’invito (qui rivolto alla Germania) dovrebbe valere anche per l’Italia, soprattutto nei casi in cui la giurisprudenza pone esclusivamente a carico del lavoratore, in caso di cessazione del rapporto, l’onere di dimostrare l’impossibilità di fruire a tempo debito delle ferie annuali, al fine di evitarne l’estinzione e ottenere un’indennità economica (cfr. ad es. Cass. n. 20091/18
Parole chiave: Lavoro pubblico , Licenziamenti , Retribuzioni